Da un interessante articolo di Carlo Bertani pubblicato su disinformazione.it , che vi invito a leggere, propongo la parte finale:
Israele fu per molti anni alleato del Sudafrica dell’apartheid, e la “teoria” dei “territori occupati” sa tanto di “Bantustan”: se non basta, rimangono a testimoniarlo le molte collaborazioni in campo militare, anche quando l’embargo internazionale contro Pretoria non le avrebbe consentite (i missili Gabriel, ad esempio, che armarono le motovedette d’entrambi i Paesi).Il Sudafrica ha saputo uscire dal suo cul de sac con gran coraggio e lungimiranza: oggi non è certo tranquillo come un cantone svizzero, ma non fa parlare di sé – per massacri – almeno una volta l’anno. Quella sudafricana è stata un’esperienza creata dal dialogo e dalla reciproca fiducia: riconoscimento che avvenne sia dalla parte dei neri sia da quella boera. Non dimentichiamolo. Eppure, fu un azzardo che pagò, eccome.
Sull’altro piatto della bilancia, i bianchi sudafricani compresero che la dinamica demografica non li favoriva: non fu soltanto spirito filantropico, ma anche pragmatismo. Che, in ogni modo, funzionò, e potrebbe funzionare anche in Palestina – perché le dinamiche demografiche sono le stesse – se venisse meno l’assurdo principio di uno Stato basato su un’identità etnica e religiosa (peraltro, molto difficile da identificare). Ci chiediamo se, tramontata ogni ipotesi d’avere due stati che vivono in pace separati, non sia da prendere in considerazione l’ipotesi più semplice, che qualsiasi Stato veramente democratico e moderno dovrebbe sostenere. Quella di un solo Stato, con pari diritti per tutti e democrazia parlamentare: il sistema meno imperfetto che conosciamo, con tutti i suoi difetti. Una modesta ma concreta base di partenza. Che ci sarebbe di strano? Non dovrebbe essere la comune prassi di uno Stato che si professa democratico? Non sarebbe una buona occasione anche per i palestinesi, accusati d’essere “refrattari” alla democrazia? Cosa spiazzerebbe di più le leadership integraliste (d’entrambe le parti), bombe e razzi o una proposta che sa di sfida per la democrazia?
L’ipotesi è meno assurda di quel che si pensi, se si riflette sulla alternative. Israele non potrà mai vincere contro i suoi vicini: sono troppi, e la demografia li avvantaggia. Oramai, i flussi migratori verso Israele sono cessati da tempo.Può solo perdere o “pareggiare” – mi si passi il paragone calcistico – ma questo “pareggio” è la tragedia alla quale assistiamo, che oggi avvelena di dolore e di rabbia i palestinesi e domani, ad operazione conclusa, ci dirà quante famiglie israeliane piangeranno un loro figlio. Il sogno della “Grande Israele” è tramontato con il ritiro dal Libano e la mezza sconfitta del 2006: perché continuare in questa assurda tragedia? Nessun morto nella Shoà ne trarrà vantaggio, e nessun israeliano potrà mai sperare di giungere ad un così completo dominio da scapolare le sue paure ancestrali. Nessun popolo eletto, nessun popolo massacrato.
Sull’altro piatto della bilancia, i bianchi sudafricani compresero che la dinamica demografica non li favoriva: non fu soltanto spirito filantropico, ma anche pragmatismo. Che, in ogni modo, funzionò, e potrebbe funzionare anche in Palestina – perché le dinamiche demografiche sono le stesse – se venisse meno l’assurdo principio di uno Stato basato su un’identità etnica e religiosa (peraltro, molto difficile da identificare). Ci chiediamo se, tramontata ogni ipotesi d’avere due stati che vivono in pace separati, non sia da prendere in considerazione l’ipotesi più semplice, che qualsiasi Stato veramente democratico e moderno dovrebbe sostenere. Quella di un solo Stato, con pari diritti per tutti e democrazia parlamentare: il sistema meno imperfetto che conosciamo, con tutti i suoi difetti. Una modesta ma concreta base di partenza. Che ci sarebbe di strano? Non dovrebbe essere la comune prassi di uno Stato che si professa democratico? Non sarebbe una buona occasione anche per i palestinesi, accusati d’essere “refrattari” alla democrazia? Cosa spiazzerebbe di più le leadership integraliste (d’entrambe le parti), bombe e razzi o una proposta che sa di sfida per la democrazia?
L’ipotesi è meno assurda di quel che si pensi, se si riflette sulla alternative. Israele non potrà mai vincere contro i suoi vicini: sono troppi, e la demografia li avvantaggia. Oramai, i flussi migratori verso Israele sono cessati da tempo.Può solo perdere o “pareggiare” – mi si passi il paragone calcistico – ma questo “pareggio” è la tragedia alla quale assistiamo, che oggi avvelena di dolore e di rabbia i palestinesi e domani, ad operazione conclusa, ci dirà quante famiglie israeliane piangeranno un loro figlio. Il sogno della “Grande Israele” è tramontato con il ritiro dal Libano e la mezza sconfitta del 2006: perché continuare in questa assurda tragedia? Nessun morto nella Shoà ne trarrà vantaggio, e nessun israeliano potrà mai sperare di giungere ad un così completo dominio da scapolare le sue paure ancestrali. Nessun popolo eletto, nessun popolo massacrato.
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