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mercoledì 7 gennaio 2009

Rignano e la Procura di Tivoli

Ritorna sulle pagine dei quotidiani online la vergognosa storia di abusi su minori di Rignano.
Lo spunto è venuto da un atto (per altro non ancora notificato) della Procura di Tivoli che, contestualmente, manda in archivio la posizione di tre degli otto indagati e dispone il deposito degli atti di accusa che prelude alla richiesta di giudizio per almeno tre donne (le maestre Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e Marisa Pucci.
Ma quello che mi preme sottolineare sono le molte perplessità sul metodo investigativo utilizzato dalla procura di Tivoli.
Secondo l'articolo della Repubblica.it la Cassazione, nel confermare l'annullamento degli arresti di sei indagati, censura il lavoro del pubblico ministero Marco Mansi e del gip Elvira Tamburelli con argomenti, oltre che severi, definitivi. "Il quadro indiziario è insufficiente e contraddittorio".
Le testimonianze dei bambini - motore dell'istruttoria e suo incipit - sono l'esito "di domande inducenti degli adulti", che sollecitano "aspettative" di fronte alle quali "i bambini finiscono per conformarsi".
L'indagine ha compiuto i due anni. Non sono consentite altre proroghe. Ed è proprio allora che salta fuori un nuovo casale.
È una costruzione abbandonata, con un legittimo proprietario (per altro non legato da alcun rapporto con gli indagati), dove i carabinieri, con una procedura quantomeno singolare per dei minori tra i 4 e i 5 anni, accompagnano alcuni dei bambini, trasformandoli in protagonisti del "riconoscimento".
"È il luogo", concludono.
Vengono sequestrati dei piatti, dei palloni, una Barbie. Non sono più possibili perizie (l'indagine è chiusa). Ma "il fatto nuovo c'è".
La Procura può tirare dritto.
La storia può ricominciare.
Mi chiedo se qualcuno pagherà per i propri sbagli per i traumi cagionati a dei bambini? In un paese civile si ma nel nostro?

mercoledì 24 dicembre 2008

Il TG1

Per calcolare lo stato della libertà d’informazione in Italia, c’è un’ottima unità di misura: lo spazio dedicato dalla stampa e dai tg nazionali al processo in corso a Palermo a carico dell’ex capo del Ros e poi del Sismi, generale Mario Mori, e del suo vice, col. Mario Obinu, per favoreggiamento alla mafia a causa della mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995.

Una cosina da niente. Nemmeno una riga, una parola sulle udienze che si susseguono da metà luglio. In aula non si vede quasi mai un cronista e non è mai entrata una sola telecamera. Una delle rare eccezioni è Lirio Abbate, il valoroso giornalista dell’Ansa che vive sotto scorta per le minacce mafiose dopo aver scritto “I complici” con Peter Gomez.

Mercoledì ha firmato tre lanci d’agenzia sulla lunga deposizione del primo testimone d’accusa: il generale Michele Riccio, anche lui ex del Ros, che accusa Mori e Obinu di avergli impedito di catturare Provenzano 13 anni fa in un casolare di Mezzojuso indicato dal mafioso suo confidente Luigi Ilardo, poi assassinato da Cosa Nostra subito dopo aver accettato di collaborare con la giustizia. Quella sera e nei giorni seguenti nessun giornale né tg nazionale ha ripreso la notizia.

LEGGI L'ARTICOLO di Marco Travaglio

venerdì 12 dicembre 2008

La guerra tra procure


Riporto l'articolo apparso sul sito di Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera, che si occupava del bagarre delle procure di Catanzaro, Salerno e Matera.

E' in questi casi che mi vergogno di vivere in Italia!


Vi riporto degli stralci, il testo integrale è possibile leggerlo sul sito del giornalista


Avevo fatto una battuta: avevo detto: i giornalisti, a differenza dei magistrati, non possono essere trasferiti. Avrei fatto meglio a stare zitto. Da lì a poco sarei stato “trasferito” anch’io. E’ stato la sera del 3 dicembre, dopo che sul mio giornale era uscito un mio servizio da Catanzaro sulle perquisizioni e i sequestri ordinati dalla procura di Salerno nei confronti di otto magistrati calabresi e di altri politici e imprenditori.

Come sempre, non solo durante questa inchiesta, ma perché questo è il mio modo di lavorare, avevo “fatto i nomi”. E cioè, non avevo omesso di scrivere i nomi di chi compariva negli atti giudiziari (il decreto di perquisizione dei magistrati di Salerno, che trovate sul mio blog in versione integrale) non più coperti da segreto istruttorio. Tutto qui. Nomi noti, per lo più. Accompagnati però da qualche “new entry”: per esempio, Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, Mario Delli Priscoli, procuratore generale della Corte di Cassazione, Simone Luerti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati.

Con una telefonata, il mio direttore, Paolo Mieli, ha dichiarato concluso il mio viaggio fra Catanzaro e Salerno, Potenza e San Marino, Roma e Lamezia Terme.

Un viaggio cominciato il 27 febbraio 2007, quando scoppiò “Toghe Lucane” (la terza inchiesta di de Magistris, con “Poseidone” e “Why Not”). Un viaggio che mi fece subito capire che da quel momento in poi nulla sarebbe stato più come prima all’interno della magistratura e in Italia.
......
E’ accaduto che mentre la procura di Catanzaro (c’era ancora de Magistris) stava indagando su un bel numero di magistrati lucani, di Potenza e di Matera, la procura di Matera (gli indagati) si è messa a indagare sugli indagatori (de Magistris).

Come? Surrettiziamente.

E cioè? Si è inventato il reato di “associazione a delinquere finalizzato alla diffamazione a mezzo stampa” e ha messo sotto controllo i telefoni di cinque giornalisti (me compreso) e un ufficiale dei carabinieri (quello delegato da de Magistris per le indagini sui magistrati lucani).

Così facendo, i magistrati indagati hanno potuto conoscere cosa si dicevano gli indagatori (de Magistris e l’ufficiale delegato a indagare).

Avvertivo: guardate che così va a finire male.

Chiedevo: caro Csm, caro Capo dello Stato, intervenite subito. Niente. Nemmeno una parola, un singulto, un cenno. Nemmeno quando era chiaro a tutti che quei magistrati lucani, al di là di ogni altra considerazione, vedevano ormai compromessa la loro terzietà.

Un magistrato - si dice sempre, e a ragione -, come la moglie di Cesare, deve non soltanto “essere”, ma anche “apparire” imparziale, terzo, non sospettabile di alcunché. Per i magistrati lucani, invece, non è così. Nonostante siano parti in causa, essi continuano a indagare sugli indagatori, chiedono e ottengono proroghe di indagini (siamo alla quarta) perché, dicono, il reato che si sono inventati, l’associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa, è complicatissimo. E rimangono al proprio posto nonostante le associazioni regionali degli avvocati ne chiedano il trasferimento, per consentire un funzionamento appena credibile della giustizia. Niente.

Si è lasciato incancrenire il problema ed ecco replicato l’esperimento a Catanzaro.

La “guerra” fra procure non è altro che la riproduzione di quel corto circuito messo in atto da indagati che indagano sui loro indagatori, affinché, rovesciato il tavolo e saltate per aria le carte, non si sappia più chi ha torto e chi ha ragione perché, appunto, “c’è la guerra”.

E dopo la “guerra”, ecco la “tregua” o, se preferite, “l’armistizio” (così, banalmente ma non meno consapevolmente, tutti i giornali, salvo rarissime eccezioni di singoli commentatori).

Guerra e tregua.
Forse è il caso di non leggere più il Corriere?

giovedì 4 dicembre 2008

Mani Pulite ha tolto la libertà ai magistrati


«Fino a Tangentopoli, e fino a qualche anno fa, il problema era dell’indipendenza della magistratura dal potere politico, adesso è dell’indipendenza del magistrato rispetto alla magistratura ». Il «singolo magistrato » che «non si vuole allineare, non si vuole schierare, vuole essere libero, finisce per pagare i suoi errori. E li paga cari». Parola del gip Clementina Forleo, che il Csm ha trasferito a Cremona per incompatibilità ambientale, la quale vede questa situazione come la conseguenza degli «eccessi» di Mani Pulite, specialmente nell’uso del carcere, che hanno «rafforzato il consenso popolare verso certa politica» e minato «la fiducia» nei magistrati.






mercoledì 15 ottobre 2008

L'incertezza della pena

In questi giorni sono state pubblicate le notizie relative alle libertà anticipate di Mambro e Maso e della mancata estradizione di Petrella.
Tre casi diversi ma accomunati da una comune linea sottile: l'incertezza della pena che esiste in Italia.
Francesca Mambro condannata all'ergastolo per la strage (STRAGE) di Bologna esce in libertà condizionale in quanto per i giudici si è ravveduta;
Pietro Maso condannato a 30 per l'omicidio dei genitori è in semilibertà;
Marina Petrella condannata all'ergastolo per per l'omicidio di un agente di polizia, per tentato sequestro e tentato omicidio, sequestro di un magistrato, per rapina a mano armata e vari attentati, non può essere estradata per il veto del presidente della Repubblica francese.
Loro avranno un'altra chance ma le loro vittime?
Ogni volta che leggo una notizia simile penso ai figli delle vittime che, per colpa di IMBECILLI e VIGLIACCHI individui , non hanno mai potuto godere dell'affetto dei loro cari.
Mi vergogno e, anche se non ha nessun valore, sarò sempre e per tutta la vita vicino a loro.

sabato 4 ottobre 2008

Perchè il lodo Alfano è incostituzionale

Che il lodo Alfano non fosse del tutto costituzionale lo avevano capito anche i bambini, soprattutto per colpa di quell' articolo 3 della Carta fondamentale italiana che recita : Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Ma se non fosse ancora chiaro la forzatura che i nostri politici (tutti!) vogliono tentare vi consiglio la lettura dell'intervento di Alessadro Pace pubblicato sul sito dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti (mica Rai 3!).
Qualcuno dirà che anche questa è un'associazione di comunisti ma comunque io leggerei l'articolo, anche se lungo, per evitare un giorno di dire: ma io non sapevo!
PS: Leggo spesso il blog di Mario Adinolfi e l'8 maggio scorso trovai un post su Angelino Alfano che recitava: oggi è il Guardasigilli della Repubblica italiana e fatevi dire da chi un po' lo conosce che sarà un grande ministro di Grazia e Giustizia. Mario sei ancora della stessa idea?

giovedì 25 settembre 2008

Il dietrofront di Alfano

Chi aveva dei dubbi sull'indipendenza dell'attuale ministro della giustizia non può che avere conferma dall'ennesimo dietrofont di Angelino Alfano.

Prima dell'estate, esattamente il 19 giugno scorso, il Guardasigilli, seduto accanto al collega dell'Economia Giulio Tremonti, nella saletta delle conferenze stampa di palazzo Chigi dichiarava «Già a partire da quest`anno ridurremo di un terzo la sospensione feriale dei termini processuali: le vacanze nei tribunali inizieranno, come sempre, il primo agosto, ma finiranno i1 31 del mese, e non più il 15 settembre».

Ma su Repubblica di oggi ci raccontano "che Alfano avrebbe voluto mettere la sua norma nella parte della manovra economica approvata per decreto ma qualche amico del Cavaliere gli fece notare che così rischiavano di essere accelerati anche i processi milanesi del premier che invece si stava facendo di tutto per rallentare e poi bloccare definitivamente col lodo Alfano.

Il ministro dovette fare buon viso a cattiva sorte e la norma, sotto la stampigliatura «articolo 62 - sospensione dei termini processuali nel periodo finale» finì nel collegato alla Finanziaria destinato al normale iter del decreto legge.

Ma che succede adesso? Sorpresa delle sorprese.

L`articolo 62 sparisce. Cancellato. Soppresso. Svanito nel nulla. Evaporato. Niente articolo e niente accorciamento delle ferie.
Tutto resta come prima. Abbiamo scherzato. Non solo non si farà quest`anno, ma neppure nel 2009. Non si farà mai. Le pressioni della potentissima lobby degli avvocati, che tutto vogliono tranne che lavorare 15 giorni in più, hanno avuto la meglio. E non è affatto detto che anche i magistrati non ci abbiano messo lo zampino.
Non basta. L`articolo 62 sparisce addirittura per un emendamento del governo. Nessuno se ne accorge. La polemica non esplode. La sinistra s`arrabbia per il filtro ai processi in Cassazione, tre giudici anziché cinque, che decidono se un ricorso è ammissibile o meno senza che siano presenti i difensori, proprio come avviene già oggi.

Li c`è la contestazione, li il Pd, col ministro ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia, parla di riforma «semplice aspirina» per un malato grave come il processo civile e con Donatella Ferranti chiede lo stralcio perché «c`è il rischio di un quarto grado di giudizio». E l`efficienza? E lavorare 15 giorni in più? E, visto che si sta all`opposizione, mettere in mora Alfano per i suoi annunci che si risolvono in nulla? Niente. Silenzio. Era una bella scommessa. La fece pure l`ex Guardasigilli Clemente Mastella.
Ma le lobby vinsero anche su di lui. Ferie confermate e tribunali chiusi per ferie ben lunghe, dal primo agosto al 15 settembre."
Ma qualcuno lo chiederà al Ministro Alfano dove è finita la sua coerenza e la sua dignità? Oppure non c'è bisogno di chiederlo perché già conosciamo la risposta?

Ovviamente la domanda è estesa al ministro ombra!

giovedì 18 settembre 2008

Ma che fine hanno fatto la Forleo e De Magistris?


Sono mesi che non sentiamo nessuna notizia su Ottaviano Del Turco e sulla sua imputazione di corruzione sui giornali più diffusi (chissà forse era giusto che finisse in galera?). Lo stesso silenzio avvolge i due magistrati Forleo e De Magistris che hanno provato a toccare i "potenti".
In merito vi consiglio di leggere, sul blog Uguali per Tutti, alcune riflessioni, inedite, di Carlo Vulpio, che interviene nel dibattito in corso sui casi Forleo e De Magistris.

Carlo Vulpio è giornalista del Corriere della Sera. Firma autorevole di quella testata. Autore del documentatissimo libro “Roba nostra. Storia di soldi, politica, giustizia nel sistema del malaffare”.

Gli autori del blog manifestano la propria amarezza che sta nel dovere di prendere atto per l’ennesima volta che fatti oggettivamente gravi e importanti per la vita democratica del nostro paese vengono – si deve ritenere volutamente – taciuti dalla “stampa che conta”. (non ne avevamo dubbi).

Per leggere l'intervento di Vulpio clicca qui

sabato 13 settembre 2008

Casta canta

Sintesi dall' Ora d'aria -su l'Unità del 10 settembre 2008 di Marco Travaglio
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Ha ragione Simone Collini quando, sull'Unità, paragona il battage anti-Casta di un anno fa al silenzio di oggi.
Ma Stella& Rizzo, o Beppe Grillo, non c’entrano: denunciavano allora, denunciano oggi.
Gli esami calabresi della Gelmini, i bagni giannutresi di Fini, le marchette degli scalatori Alitalia e il ripristino berlusconiano degli aerei di Stato à gogò: nulla è cambiato, anzi molto è peggiorato.
Ma il padrone della tv, con i Johnny Raiotta, i Mazza, i Fede, i Mimun al seguito, se le canta e se le suona.
E chi non ha risolto il suo conflitto d’interessi, anziché piagnucolare, dovrebbe fare mea culpa. Anche perché finora, della Casta, si è sottolineato l’aspetto più superficiale, cioè i superstipendi, gli sprechi e gli status symbol.
E non, invece, il tratto più profondo: la convinzione dei mandarini di appartenere a un club esclusivo, di essere diversi dagli altri, di non essere sottoposti alle leggi e alle regole.
Che, com’è noto, valgono solo per gli altri. Le parole di Ottaviano Del Turco, intervistato da Repubblica, illustrano bene il fenomeno.
La legge vigente affida al gip il compito di arrestare gli indagati che minaccino di ripetere il reato, e poi di interrogarli nell’”incidente probatorio” (che ha valore di prova al dibattimento). Ma ciò che vale per tutti i comuni mortali è, per Del Turco, inaccettabile.
Infatti ha ricusato il gip, accusandolo di essere “prevenuto” contro di lui.
La prova? Il gip ha espresso “giudizi di colpevolezza” nell’ordine di custodia. Oh bella: se il gip fosse convinto della sua innocenza, non l’avrebbe arrestato. Se l’ha arrestato è perché - come prevede la legge - ha ritenuto fondati i “gravi indizi di colpevolezza” addotti dai pm. Ogni giorno i gip esprimono giudizi di colpevolezza su migliaia di arrestati e poi li interrogano.
Ma Del Turco è speciale: pretende un gip nuovo di pacca, magari convinto della sua innocenza. Perché? “Il gip De Maria ha sostenuto che il sottoscritto, dopo essersi dimesso da tutto, sarebbe ancora in grado di reiterare il reato e dunque deve continuare a esser privato della libertà” con gli arresti domiciliari.
Ma dove sta scritto che le dimissioni dalla carica cancellano il pericolo di nuovi reati? Quella ipotizzata dai magistrati è una ragnatela di corruzione che durava da anni, addirittura dalla vecchia giunta di centrodestra, che poi avrebbe passato il testimone delle mazzette a quella di centrosinistra. Un presunto clan con decine di indagati. Solo confessando l’indagato rompe i rapporti con gli altri, si rende inaffidabile nei loro confronti e dunque si può pensare che non delinquerà più. Altrimenti il rischio permane.
L’ultima “prova” della prevenzione del gip citata da Del Turco è spettacolare: “Avevo chiesto di trascorrere due settimane in Sardegna con mia moglie. Mi è stato detto che era possibile, a patto che fossi sorvegliato giorno e notte”. Ora, immaginiamo che sarebbe accaduto se un gip avesse concesso i domiciliari in Costa Smeralda a un normale detenuto accusato di aver rubato 6 milioni, con l’unica restrizione di qualche agente alle calcagna. Avremmo i giornali e i politici che strillano per il lassismo delle toghe rosse, che consentono la bella vita ai ladri. Se invece la stessa cosa accade per un mandarino della casta, accusato di aver rubato 6 milioni alla sanità pubblica, allora i giudici sono prevenuti. Da ricusare.

martedì 12 agosto 2008

“Ecco la cupola”. L’ultimo affondo di De Magistris.

articolo di Antonio Massari da La Stampa del 9 agosto 2008

Tra i 33 indagati politici e carabinieri.
Una cupola giudiziaria.«Condizionavano le pubbliche amministrazioni e interferivano sull’Ordine giudiziario, sul Csm e sul ministero».
Il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, punito e trasferito dal Csm, chiude l’inchiesta «Toghe Lucane» con un lungo elenco di indagati – ben 33 – e pesanti accuse alla magistratura.
E’ il suo ultimo atto da pubblico ministero prima di trasferirsi a Napoli con funzioni di giudice.Tra gli indagati figurano 8 magistrati, quattro ufficiali dei carabinieri, un senatore, un presidente di Regione e tre sindaci.
Indagati anche l’ex questore, Vincenzo Mauro, e l’ex capo della squadra mobile, Luisa Fasano.
Nelle aule di giustizia, a Potenza, si oscilla tra la corruzione e la «cartomanzia giudiziaria» (la pm Claudia De Luca, per 65 volte, chiama l’899 di un cartomante con il telefono di servizio).
Spuntano complotti tra vertici dei carabinieri (i generali Cetola e Garelli, comandante interregionale e comandante della Basilicata) e toghe (il sostituto pg Bonomi) per danneggiare altri magistrati (i pm Woodcock e Montemurro, i gip Iannuzzi e Pavese).
Il «sodalizio», scrive De Magistris, era «composto da politici, avvocati, imprenditori e faccendieri che avevano necessità di interventi illeciti per il condizionamento dell’attività giudiziaria. I pubblici ufficiali asservivano la loro funzione, ricevendo utilità varie, inclusi incarichi in ruoli di vertice all’interno dell’ordine giudiziario o nella commissione antimafia».
Al centro delle vicende un vorticoso giro di soldi. Milioni di finanziamenti pubblici vengono dirottati sul complesso turistico Marinagri. Ubicato in una zona ad alto rischio idrogeologico, potrebbe essere spazzato via da un’alluvione.
Ma non importa: i finanziamenti devono passare ugualmente.
La magistratura lucana, allertata sull’operazione archivia. Le indagini sono condotte dalla pm di Matera, Claudia Morelli (indagata).
Intanto, il pm napoletano, scopre che Giuseppe Chieco, capo della procura di Matera, era interessato all’acquisto d’un appartamento nel villaggio turistico.
Scopre che il senatore Filippo Bubbico (Pd), ex governatore lucano, spinge perché il progetto passi.
Indaga anche sul Presidente della Regione, Vito De Filippo (Pd), su un alto funzionario del ministero (Massimo Goti), sull’ex moglie di Marco Follini, Elisabetta Spitz, e sui passaggi che portano all’approvazione di progetto e finanziamento.
Altri esempi.
Iside Granese, Presidente del Tribunale di Matera, ottiene dalla banca Popolare del materano un mutuo di 620 mila euro al tre per cento d’interessi.
Per la banca sembra un’operazione in perdita.
Ma la Granese firma una sentenza di fallimento che avvantaggerebbe due esponenti della banca.
In queste 516 pagine scorre una storia ultraventennale: indagando sulla magistratura lucana, de Magistris, scopre novità su tre casi irrisolti: la scomparsa di Elisa Claps e due duplici omicidi.
Novità trasmesse alla procura di Salerno.

giovedì 31 luglio 2008

Il cuore profondo delle inchieste di Luigi De Magistris

mercoledì 30 luglio 2008

di Antonio Massari (Giornalista)
da La Stampa del 27 luglio 2008

Che dica il vero, oppure no, adesso Giuliano Tavaroli potrebbe raccontare la sua versione, su certi fatti, alla procura di Salerno, che indaga sul “caso de Magistris”.
L’ex addetto alla security di Telecom potrebbe persino gradire l’invito, per spiegare cos’intende con “network eversivo” - vero o falso che sia - ed elencare ruoli, nomi e cognomi.
Esistono infatti alcuni punti di contatto tra alcune dichiarazioni di Tavaroli e dei nomi che spuntano dalle inchieste condotte da Luigi de Magistris, il pm napoletano, punito e trasferito dal Csm, che indagava su “Why Not” e “Poseidone”, ovvero sull’utilizzo dei fondi europei e sugl’intrecci fra massoneria e istituzioni.Un’inchiesta che gli viene avocata in un preciso momento storico: quando inizia a indagare su un presunto network, di matrice spionistica, legato ai servizi segreti e alla massoneria.
Ma torniamo ai punti di contatto tra la vicenda Tavaroli e il “caso de Magistris”.
Intanto, il pm napoletano, nell’inverno 2007, mentre sta indagando sul generale della Guardia di Finanza, Walter Cretella Lombardo, e su una presunta rete spionistica, chiede a Milano di acquisire atti dell’inchiesta Telecom. Dagli atti spunta Renato d’Andria, uomo già al centro di un’inchiesta su massoneria, spioni, dossier illegali, che nel 2001 aveva portato all’arresto – proprio su richiesta di de Magistris – dello stesso d’Andria, del colonnello dei carabinieri Pietro Sica e di alcuni faccendieri.
De Magistris lo iscrive nel registro degli indagati – poche settimane prima di perdere l’inchiesta Why Not – perché ritiene che stia trafficando, in maniera illecita, sulle autorizzazioni per l’eolico in Calabria. La pista investigativa porta alle istituzioni regionali e a politici nazionali.
Tavaroli dichiara che l’origine dei suoi guai è legata a Salvatore Di Gangi, perquisito da de Magistris nell’inchiesta “Poseidone”, sulle truffe legate ai depuratori d’acqua, e ai rifiuti, in Calabria.
Un uomo che compare nelle vicissitudini finanziarie di alcune società, legate al segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa (oggetto di un dossier illegale ordinato da Tavaroli, su richiesta di un generale della GdF, e che portò alla scoperta di presunti fondi esteri).
Società che portano alla Global Media, descritta, dai consulenti di de Magistris, come il “polmone finanziario” dell’Udc. Anche Di Gangi si occupa di sicurezza, con diverse società, nelle quali spunta persino il leader storico della banda della Magliana.
Nel “network eversivo” evocato da Tavaroli, spunta anche Luigi Bisignani, ex piduista, condannato per la maxi tangente Enimont. È lo stesso Bisignani indagato e perquisito da de Magistris in Why Not, inchiesta legata ad Antonio Saladino, ex presidente calabrese della Compagnia delle Opere, considerato, anche da chi ha ereditato l’inchiesta Why Not, in grado di spostare voti e determinare le sorti politiche della regione.
Ma il “cuore” di “Why not” e “Poseidone” pulsa molto più in profondità: la pista investigativa ipotizza una lobby in grado di condizionare tutti i settori, dall’economia alla finanza, inclusa la magistratura.
Questo cuore batte a Salerno, dove s’indaga, tra gli altri, su Giancarlo Pittelli (indagato in Why not e Poseidone, coordinatore regionale di Forza Italia, avvocato penalista, e difensore proprio di Di Gangi). Inoltre: s’indaga su Mariano Lombardi (ex procuratore capo di Catanzaro), Salvatore Murone (procuratore reggente di Catanzaro), Adalgisa Rinardo (presidente del tribunale del riesame di Catanzaro), Dolcino Favi (ex reggente della procura generale di Catanzaro). Reato ipotizzato: corruzione in atti giudiziari (per Favi l’ipotesi è abuso d’ufficio).
Lombardi revocò Poseidone a De Magistris. Favi avocò Why Not, dopo l’iscrizione dell’ex ministro Mastella nel registro degli indagati.
La procura di Salerno suppone un’opera di delegittimazione, nei confronti di De Magistris, finalizzata a ostacolare le sue inchieste.
De Magistris avrebbe ipotizzato una rete occulta, in grado di condizionare settori rilevanti delle istituzioni, nella quale, anche Bisignani, peraltro amico di Mastella, avrebbe un ruolo di primo piano, quale punto di riferimento di uomini politici, membri delle forze dell’ordine, faccendieri e uomini dei servizi.
Su questo punto, la versione oggi fornita da Tavaroli, incredibilmente, sembra riscontrare le inchieste di de Magistris.

Questa è truffa allo Stato


Brunetta dove sei?

domenica 27 luglio 2008

Lettera al presidente del Senato

di Marco Travaglio
l'Unità, 26 luglio 2008
Gentile Presidente del Senato, avv. sen. Renato Schifani,
chi Le scrive è un modesto giornalista che ha avuto la ventura di occuparsi talvolta di Lei per motivi professionali.
L’ultima - forse lo ricorderà - fu nel mese di maggio, quando Lei ascese alla seconda carica dello Stato e io pubblicai una sua breve biografia sull’Unità e nel libro “Se li conosci li eviti” (scritto con Peter Gomez) che poi presentai su Rai3 a “Che tempo che fa”.
Anzitutto mi consenta di congratularmi con Lei per la Sua recentissima invulnerabilità penale, in virtù del Lodo Alfano, figlio legittimo del Lodo Schifani già dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004 e prontamente replicato in questa legislatura, anche grazie alla fulminante solerzia con cui Lei l’ha messo all’ordine del giorno di Palazzo Madama. E’ davvero consolante, per un cittadino comune, apprendere che da un paio di giorni l’articolo 3 della Costituzione è sospeso con legge ordinaria approvata in 25 giorni, e che dall’altroieri esistono quattro cittadini più uguali degli altri dinanzi alla legge, come i maiali della “Fattoria degli animali” di George Orwell.
Il fatto poi che Lei faccia parte del quartetto degli auto-immuni è per tutti noi motivo di ulteriore soddisfazione.
Si dà il caso, però, che Lei mi abbia recentemente fatto recapitare in busta verde, da ben tre avvocati (uno dei quali pare sia un Suo socio di studio), un atto di citazione presso il Tribunale civile di Torino affinchè io vi compaia per essere condannato a risarcirLa dei presunti danni, patrimoniali e non, da Lei patiti a causa del mio articolo sull’Unità e della mia partecipazione al programma di Fabio Fazio. Danni che Lei ha voluto gentilmente quantificare in appena 1,3 milioni di euro. A carico mio, s’intende.
Tutto ruota, lo ricorderà, intorno al fatto che avevo osato ricordare come Lei, alla fine degli anni 70, fosse socio nella Sicula Broker di due personaggi poi condannati e arrestati per mafia, Benny D’Agostino e Nino Mandalà; e che negli anni 90 Lei abbia prestato una consulenza in materia urbanistica per il Comune di Villabate, poi sciolto due volte per mafia in quanto ritenuto nelle mani dello stesso boss Mandalà.
Circostanze che Lei non ha potuto negare neppure nel suo fantasioso e spiritoso atto di citazione (ho molto apprezzato i passaggi nei quali Lei fa rientrare quei fatti nell’ambito dei “commenti sulla vita privata delle persone”; e mi rimprovera di non aver rammentato come Lei sia stato socio non solo di persone poi risultate mafiose, ma anche di altri “noti imprenditori mai coinvolti in episodi giudiziari”, e come Lei abbia prestato consulenze non solo per comuni poi sciolti per mafia, ma anche per altri enti locali mai sciolti per mafia).
Ora, sul merito della controversia, decideranno i giudici.
Ma non Le sfuggirà la sproporzione delle forze in campo, sulla bilancia della Giustizia, fra la seconda carica dello Stato e un umile cronista: i giudici, già abbondantemente vilipesi e intimiditi negli ultimi anni da Lei e dai Suoi sodali, sapranno che dar torto a Lei significa dar torto al secondo politico più importante del Paese, mentre dar torto a me è davvero poca cosa.
E’ questo oggettivo squilibro che, in tempi e in paesi normali, consiglia a chi ricopre importanti cariche pubbliche di spogliarsi delle proprie liti private, per dedicarsi in esclusiva agli interessi di tutti i cittadini. Lei invece non solo non si è spogliato delle Sue liti private, ma ne ha addirittura ingaggiata una nuova (con me) dopo aver assunto la presidenza del Senato. Ora però quello squilibrio diventa davvero abissale in conseguenza della Sua sopraggiunta invulnerabilità. In pratica, se io volessi querelarLa per le infamanti accuse che Lei mi muove nel Suo atto di citazione, non avrei alcuna speranza di ottenere giustizia in tempi ragionevoli, perché il Lodo Alfano La mette al riparo da qualunque conseguenza penale delle Sue parole e azioni, imponendo la sospensione degli eventuali processi a Suo carico.
Lei può dire e fare ciò che vuole, e io no.
Riconoscerà che, dal mio punto di vista, la situazione è quantomai inquietante.Ma c’è di più e di peggio. L’anno scorso l’ex presidente del consiglio comunale di Villabate, Francesco Campanella, indagato per mafia a causa dei suoi rapporti con la cosca Mandalà e con Bernardo Provenzano, ha raccontato ai giudici antimafia di Palermo che il nuovo piano regolatore di Villabate era stato addirittura “concordato” da lei e dal senatore La Loggia con il solito Mandalà.
Lei e La Loggia annunciaste subito querela. E da allora i magistrati antimafia stanno verificando se Campanella si sia inventato tutto o magari dica la verità. Io Le auguro e mi auguro, visto che Lei ora rappresenta l’Italia ai massimi livelli, che prevalga la prima ipotesi.
Ma, nella malaugurata evenienza che prevalesse la seconda, il Lodo Alfano impedirebbe alla magistratura di processarLa, almeno per i prossimi cinque anni, finchè terminerà la legislatura e, con essa, svanirà il Suo preziosissimo scudo spaziale.
Converrà con me, Signor Presidente, che nella causa civile che Lei mi ha intentato la conclusione di quelle indagini sarebbe comunque decisiva per valutare la mia posizione: sia che le accuse di Campanella trovino conferma, sia che trovino smentita, sarebbe difficile sostenere che io non abbia esercitato il mio diritto-dovere di cronaca, segnalando ai cittadini una vicenda di così bruciante attualità e interesse pubblico.
Detta in altri termini: non vorrei che la causa civile da Lei intentatami si concludesse prima delle indagini sul caso Campanella-Villabate, magari in conseguenza del blocco di quel procedimento per via del Lodo Alfano.
Essere condannato a versarle 1 milione o anche 1 euro, e poi scoprire a cose fatte di aver avuto ragione, sarebbe per me estremamente seccante.
L’altro giorno, con nobile gesto, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha rinunciato preventivamente al Lodo, dando il via libera al processo che lo vede imputato per diffamazione ai danni del pm Henry John Woodcock. Mi rivolgo dunque a Lei, e alla prima carica dello Stato che quel Lodo ha così rapidamente promulgato, affinché rassicuriate noi cittadini su un punto fondamentale: o ritirate le vostre denunce penali e civili finché sarete protetti dallo scudo spaziale, oppure rinunciate preventivamente al Lodo in ogni eventuale processo che potesse eventualmente influenzare, direttamente o indirettamente, l’esito di quelle cause. In attesa di un Suo cortese riscontro, porgo i miei più deferenti saluti.

giovedì 3 luglio 2008

Regime e propaganda

Tutti i regimi si fondano sulla propaganda.
Tutti hanno i loro strumenti di creazione e diffusione di false verità.
Ogni epoca ha i suoi strumenti di propaganda ed è sorprendente quanti uomini dai titoli accademici prestigiosi e dalle cariche istituzionali più elevate si prestino, in ogni epoca, a fare da servi e portaborse della propaganda del momento e con quale passione e con quanta sicumera difendano e propagandino come ovvie delle solenni menzogne, il cui unico fine è la manipolazione dell’opinione pubblica.
La bufala della settimana è stata l’affermazione che il Consiglio Superiore della Magistratura, se avesse detto nel suo parere sul c.d. “Decreto sicurezza” (che già nel nome è una menzogna della propaganda, avendo come fine notoriamente tutt’altro), che il “pacchetto” è incostituzionale, avrebbe abusato dei suoi poteri e usurpato quelli della Corte Costituzionale.
Per spiegare questa cosa qui al Presidente della repubblica, sono addirittura andati a trovarlo i Presidenti di entrambe la Camere.
Ciò che fa impressione non è l’assurdità dell’assunto, ma che lo si possa sostenere senza conseguenze e addirittura da parte di titolari di cariche di vertice dello Stato.
Le cose stanno in modo del tutto diverso ed è molto semplice descriverle.
1. Il C.S.M. ha per legge il potere di dare pareri «sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie» (art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, “Attribuzioni del Consiglio Superiore”).
2. La Corte Costituzionale non dà «pareri» di costituzionalità. Decide della costituzionalità delle leggi.
3. Chiunque è in grado di capire la differenza che c’è fra «dare pareri» su una cosa e «decidere» della cosa.
Per chi avesse la mente confusa, possiamo dire che quando un avvocato dà un parere sulla legittimità o meno di una certa attività non sta usurpando i poteri del Tribunale che sulla legittimità o meno di quella attività si dovrà pronunciare.
4. I pareri del C.S.M. non sono vincolanti. Sono, appunto, “pareri”.
5. Ovviamente i pareri non sono predeterminabili nel contenuto, che dipende dai casi concreti.
6. Il Parlamento può disattendere del tutto i pareri del C.S.M.. Non sembra che possa impedirne l’emissione.
7. Non è possibile capire, né i Presidenti delle Camere lo hanno in qualche modo spiegato né sembra che nessuno possa spiegarlo perché non si può spiegare l’illogico, perché il C.S.M. non potrebbe dire in un suo parere che una norma appare incostituzionale. Sono un giurista. Mi viene chiesto un parere su una norma che dice: “Da domani si processano solo i neri. I bianchi mai più”. Mi sembra ovvio che questo viola l’art. 3 della Costituzione. Mi sembra che questa sia la cosa più importante da osservare e l’unico parere che ha un senso dare. Non lo posso dare, perché se do questo parere violo le prerogative della Corte Costituzionale!
La cosa che ci deve fare riflettere molto seriamente non è che a qualcuno venga in mente un’assurdità del genere. E’ che possa dirla in pubblico e convincere tutti che è giusta.
Ma la propaganda non si accontenta mai e quindi sprofonda sempre più nei paradossi e nelle contraddizioni.
Ed ecco che uno dei Ministri che si è stracciato le vesti dinanzi alla prospettiva che il C.S.M. violasse le prerogative della Corte Costituzionale, non ritiene – e con lui i Presidenti delle Camere e tutto il Paese – che sia gravissima violazione della separazione dei poteri che il Ministro dell’Interno insulti un giudice che, appunto giudica, perché ha fatto un provvedimento del tutto legittimo, ma che a lui non piace.

mercoledì 2 luglio 2008

il parere del csm sul decreto sicurezza

Per chi vuole approfondire il dibattito sul decreto sicurezza riporto il parere del Consiglio Superiore della Magistratura.

"Nel corso della elaborazione del parere, è, peraltro, intervenuta, il 24 giugno 2008, l’approvazione, da parte del Senato, del disegno di legge di conversione del decreto che ha apportato al testo originario numerosi e significativi emendamenti. Ad essi deve necessariamente estendersi il parere – come ripetutamente ritenuto dal Consiglio superiore in casi analoghi – al fine di evitare di offrire al Parlamento un contributo superato dalla evoluzione del testo normativo.
I pareri resi dal Consiglio superiore al ministro della Giustizia, su richiesta o autonomamente, ai sensi dell’art. 10 della legge del 24 marzo 1958, n. 195, sulle proposte e sui disegni di legge, nonché sui decreti legge in vista della loro conversione si estendono – secondo il testo della legge e la costante prassi consiliare – ai profili riguardanti l’ordinamento giudiziario, l’organizzazione e il funzionamento della giustizia, la disciplina dei diritti fondamentali costituzionalmente previsti. A questi profili – e ad essi soltanto – ci si atterrà, dunque, nel formulare il presente parere, che, conseguentemente, non prenderà in esame le questioni concernenti altri profili, rilevanti solo in modo indiretto sulla giurisdizione (come quelli relativi alla definizione delle competenze della polizia municipale e del concorso delle Forze armate nel controllo del territorio).

venerdì 20 giugno 2008

Le menzogne di Stato

Non posso non pubblicare un estratto dell'articolo di Bruno Tinti (Procuratore Aggiunto della Repubblica di Torino) apparso sull'interessante blog Uguale per tutti. E' ovvio che condivido in pieno le valutazioni e soprattutto le conclusioni del magistrato.
La convulsa attività legislativa dell’attuale maggioranza ha una caratteristica particolare: ogni provvedimento emesso è preceduto e giustificato da bugie.
Non è vero che esista un problema sicurezza pubblica: il numero dei reati commessi è in costante flessione.
Se adottassero la stessa tignosa diligenza per raccontare le migliaia di corruzioni che vengono scoperte ogni giorno in Italia, le decine di migliaia di frodi fiscali che impoveriscono l’Italia di centinaia di milioni di euro, le decine di morti sul lavoro che insanguinano ogni giorno fabbriche e cantieri, i milioni di abusi edilizi che deturpano il Paese, gli inquinamenti, le frodi nei finanziamenti UE, insomma tutti quelli che per la classe dirigente italiana non sono reati degni di attenzione; ebbene, è certo che i cittadini italiani avrebbero del loro Paese una percezione diversa, assai più preoccupante del preteso problema sicurezza e certamente assai più realistica.
Non è vero che sono gli extracomunitari o i rumeni che commettono il maggior numero dei reati: in realtà questa categoria di persone commette il maggior numero di piccoli reati, furti nei supermercati, nei cantieri, sugli autobus; le rapine, il traffico di droga, gli omicidi sono commessi in percentuale maggiore da italiani; e naturalmente i reati di cui non si deve parlare, quelli che è bene che non preoccupino l’opinione pubblica, quelli citati sopra, la corruzione, la frode fiscale, il falso in bilancio, gli infortuni sul lavoro, i reati ambientali ed edilizi, gli inquinamenti, quelli sono commessi soltanto da italiani.
Non è vero che, per quanto riguarda gli extracomunitari e i rumeni che delinquono, la soluzione giusta consiste nell’espulsione: la soluzione giusta, come ognuno può capire, consiste nel metterli in prigione, proprio come si deve fare con chiunque commetta reati.
Naturalmente per fare questo occorre un sistema giudiziario che funzioni; quindi bisognerebbe cambiare in fretta e furia il 90 % della legislazione penale e processuale italiana.
E, per finire, bisognerebbe costruire molte carceri nuove e assumere un sacco di cancellieri, segretari e personale amministrativo in genere; e naturalmente ammodernare e far funzionare una struttura informatica disorganizzata e sottoutilizzate.
E’ ovvio che, piuttosto che mettersi a fare tutto questo, è più comodo far finta di aver trovato la soluzione miracolosa: li espelliamo tutti.
Non è vero che occorre limitare le intercettazioni perché se ne è abusato, come sarebbe dimostrato dal fatto che – così dicono gli affannati esponenti della maggioranza che qualche giustificazione al loro operato debbono pur trovarla – il numero degli intercettati è elevatissimo: in realtà le intercettazioni sono disposte in una ridottissima percentuale dei processi penali (a Torino 300 processi su 200.000); quindi sono pochissime.
E’ però vero che, tra gli intercettati, vi è un numero ridotto ma importante di appartenenti alla classe dirigente.
Non è vero che le intercettazioni costano troppo; la spesa denunciata dal Governo per giustificare il disegno di legge che riduce le intercettazioni, circa 300 milioni, è una piccolissima parte del bilancio della giustizia che è pari a 7 miliardi; e comunque è comprensiva delle somme pagate per i periti e i consulenti del PM, per le spese di missione della polizia giudiziaria, per le trascrizioni degli interrogatori e via dicendo.
E poi sarebbe semplice diminuire ulteriormente questo costo addossandolo ai gestori telefonici che agiscono in regime di concessione (è lo Stato che gli “concede” di fare il loro business): lo Stato potrebbe pretendere che le intercettazioni venissero fatte gratis.
Non è vero che le intercettazioni vengano pubblicate abusivamente e che quindi bisogna intervenire per bloccare questo malcostume: esse compaiono sui giornali quando è caduto il segreto investigativo, cioè quando l’imputato e i suoi difensori le conoscono, ad esempio perché sono riportate in un provvedimento del giudice che li riguarda (ordinanza di misura cautelare, di sequestro, di perquisizione etc.).
Non è vero che le intercettazioni e le altre notizie che riguardano il processo vengono passate ai giornalisti dai giudici. Per prima cosa non è mai stato provato. E poi basta chiedere ai giornalisti; che spiegheranno a chi vuole starli a sentire che le informazioni che essi pubblicano lecitamente le ricevono dai difensori degli imputati, subito dopo che loro stessi le hanno conosciute.
Non è vero che i giudici parlano dei loro processi in televisione o sui giornali: i giudici parlano (quando lo fanno, quando possono, quando qualcuno glielo chiede) delle difficoltà del processo italiano, dello stato disperato del sistema giudiziario italiano, delle pressioni o minacce o avvertimenti che ricevono, di leggi sbagliate o funzionali ad assicurare l’impunità a questo o quel potente, a questa o quella casta.
Non è vero che le notizie che non hanno rilevanza penale non debbono essere rese note all’opinione pubblica: se queste notizie riguardano uomini pubblici, gente che si è assunta la responsabilità di governare o gestire il Paese, l’opinione pubblica ha diritto di sapere tutto di loro, anche se si tratta di cose non costituenti reato.
Non è vero infine che lo Stato italiano abbia necessità di un’occupazione militare del territorio.
Prima di tutto 2.500 militari sono una quantità di uomini ridottissima rispetto a quanto ne mettono in campo Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Vigili Urbani che, tutti insieme, assommano a più di 200.000 uomini. E poi una forza di Polizia non addestrata, anzi addestrata ad operare in territorio nemico, in una situazione di guerra, con mezzi e mentalità incompatibili con la vita civile di un Paese democratico, non può che essere causa di danni e reati assai più numerosi e gravi di quelli che si vorrebbero prevenire o reprimere.
Allora, alla fine, la domanda è: perché questa gente mente?
E la risposta è ovvia: perché si tratta di leggi sbagliate, demagogiche, dirette a guadagnare popolarità e consenso e a procurarsi l’impunità.

mercoledì 18 giugno 2008

La lettera di Berlusconi e il processo Mills

Sul blog Uguale per tutti vengono pubblicati molti post interessantissimi e condivisibili. Oggi riporto l'ulitmo articolo e la lettera inviata dal Presidente del Consiglio al Presidente del Senato:
Per dovere di informazione, segnaliamo soltanto che non è vero che la collega Nicoletta Gandus, che l’imputato Berlusconi ha ricusato in mondovisione, abbia, come dice lui, «ripetutamente e pubblicamente assunto posizioni di netto e violento contrasto con il Governo che ho avuto l’onore di guidare dal 2001 al 2006, accusandomi espressamente e per iscritto di aver determinato atti legislativi a me favorevoli, che fra l’altro oggi si troverebbe a poter disapplicare».
La collega Gandus, alla quale va tutta la nostra solidarietà di cittadini prima che di magistrati e avvocati, ha solo aderito ad alcuni appelli per la giustizia, firmati da decine di persone di ogni estrazione culturale, sociale e professionale, uno dei quali si può leggere a questo link.
E ciò ha fatto nel legittimo esercizio della sua libertà di manifestazione del pensiero riconosciuta, al momento, anche ai magistrati dall'art. 21 della Costituzione.
A questo link c’è il verbale di interrogatorio dell’avv. David Mills, che spiega come fu che Silvio Berlusconi gli regalò 600.000 dollari «a titolo di riconoscenza per il modo in cui io ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi».Per capire cosa sia la civiltà, i 600.000 dollari sono saltati fuori non a causa di una trama dei cattivi giudici italiani, ma perché il commercialista dell’avv. Mills, in Inghilterra, resosi conto che si trattava di operazione di dubbia legalità, ha denunziato la cosa alle autorità competenti.
Come noto (uno dei tanti articoli di stampa è a questo link) «nella lettera al commercialista del 2 febbraio 2004 l’avvocato [Mills], marito di Tessa Jowell, ministro della Cultura del governo Blair, scriveva: “Io mi sono tenuto in stretto contatto con le persone di B. e loro conoscevano la mia situazione. Erano consapevoli, in particolare, di come i miei soci si fossero intascati la maggior parte del dividendo; sapevano bene che il modo in cui io avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato momenti difficili, per dirla in modo delicato) avesse tenuto Mr. B fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo”».
Per un panorama completo degli articoli di stampa su ciò che sta accadendo, vi rinviamo alla ricchissima Rassegna Stampa di Vanna Lora, che Vanna aggiorna quotidianamente, a questo link.
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Lettera del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al Presidente del Senato Renato Schifani. 13 Giugno 2008.
Caro Presidente,come Le è noto stamane i relatori Senatori Berselli e Vizzini, hanno presentato al cosiddetto “decreto sicurezza” un emendamento volto a stabilire criteri di priorità per la trattazione dei processi più urgenti e che destano particolare allarme sociale.In tale emendamento si statuisce la assoluta necessità di offrire priorità di trattazione da parte dell’Autorità Giudiziaria ai reati più recenti, anche in relazione alle modifiche operate in tema di giudizio direttissimo e di giudizio immediato.
Questa sospensione di un anno consentirà alla magistratura di occuparsi dei reati più urgenti e nel frattempo al Governo e al Parlamento di porre in essere le riforme strutturali necessarie per imprimere una effettiva accelerazione dei processi penali, pur nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali.
I miei legali mi hanno informato che tale previsione normativa sarebbe applicabile ad uno fra i molti fantasiosi processi che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica.Ho quindi preso visione della situazione processuale ed ho potuto constatare che si tratta dell’ennesimo stupefacente tentativo di un sostituto procuratore milanese di utilizzare la giustizia a fini mediatici e politici, in ciò supportato da un Tribunale anch’esso politicizzato e supinamente adagiato sulla tesi accusatoria.
Proprio oggi, infatti, mi è stato reso noto, e ciò sarà oggetto di una mia immediata dichiarazione di ricusazione, che la presidente di tale collegio ha ripetutamente e pubblicamente assunto posizioni di netto e violento contrasto con il Governo che ho avuto l’onore di guidare dal 2001 al 2006, accusandomi espressamente e per iscritto di aver determinato atti legislativi a me favorevoli, che fra l’altro oggi si troverebbe a poter disapplicare.
Quindi, ancora una volta, secondo l’opposizione l’emendamento presentato dai due relatori, che è un provvedimento di legge a favore di tutta la collettività e che consentirà di offrire ai cittadini una risposta forte per i reati più gravi e più recenti, non dovrebbe essere approvato solo perché si applicherebbe anche ad un processo nel quale sono ingiustamente e incredibilmente coinvolto.
Questa è davvero una situazione che non ha eguali nel mondo occidentale.
Sono quindi assolutamente convinto, dopo essere stato aggredito con infiniti processi e migliaia di udienze che mi hanno gravato di enormi costi umani ed economici, che sia indispensabile introdurre anche nel nostro Paese quella norma di civiltà giuridica e di equilibrato assetto dei poteri che tutela le alte cariche dello Stato e degli organi costituzionali, sospendendo i processi e la relativa prescrizione, per la loro durata in carica.
Questa norma è già stata riconosciuta come condivisibile in termini di principio anche dalla nostra Corte Costituzionale.
La informo quindi che proporrò al Consiglio dei Ministri di esprimere parere favorevole sull’emendamento in oggetto e di presentare un disegno di legge per evitare che si possa continuare ad utilizzare la giustizia contro chi è impegnato ai più alti livelli istituzionali nel servizio dello Stato.
Vergogna!!!!
In qualsiasi altro paese (anche Africano) il capo del governo si sarebbe dimesso e affrontato i processi.
Mi vergogno per la Nostra Nazione!!!

“Nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso ...”

tratto dal sito Uguale per tutti da un brano di Alexis de Tocqueville
«Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro.
In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso.
Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell’abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare.
Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti.
In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri ...Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso.
Basterà che si preoccupi per un po’ di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto.
Che garantisca l’ordine anzitutto!
Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell’ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all’altro può presentarsi l’uomo destinato ad asservirla.
Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere.
Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all’universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo».
«Se un potere dispotico si insediasse nei paesi democratici, esso avrebbe certamente caratteristiche diverse che nel passato; sarebbe più esteso ma più sopportabile, e degraderebbe gli uomini senza tormentarli.
Un sistema che potrebbe sembrare paterno, ma che al contrario cercherebbe di fissare gli uomini alla loro infanzia, preferendo che si divertano piuttosto che pensare [...].
Vedo una folla immensa di uomini tutti simili, che girano senza posa su se stessi per procurarsi i piaceri minuti e volgari di cui nutrono la propria anima.Ognuno di loro considerato in sè è come estraneo al destino di tutti gli altri [...].
Quanto al resto dei concittadini, non li vede; li tocca, ma non li sente [...]»

martedì 17 giugno 2008

Il vero volto di Berlusconi

Ezio Mauro per Repubblica
Nel mezzo della luna di miele che la maggioranza degli italiani credeva di vivere con il nuovo governo, la vera natura del berlusconismo emerge prepotente, uguale a se stessa, dominata da uno stato personale di necessità e da un'emergenza privata che spazzano via in un pomeriggio ogni camuffamento istituzionale e ogni travestimento da uomo di Stato del Cavaliere. No. Berlusconi resta Berlusconi, pronto a deformare lo Stato di diritto per salvaguardia personale, a limitare la libertà di stampa per sfuggire alla pubblicazione di dialoghi telefonici imbarazzanti, a colpire il diritto dell'opinione pubblica a essere informata sulle grandi inchieste e sui reati commessi, pur di fermare le indagini della magistratura.

Il caso Mills

Giuseppe Caruso per “l’Unità”

Sei anni di carcere per 600.000 dollari di “ricompensa”. Ecco lo spettro che agita le notti di Silvio Berlusconi, tanto da indurlo a sfornare l’ennesima legge ad personam per evitare una pena pesante in primo grado.Era stato lo stesso legale inglese (marito di un ministro dei governi Blair), nel febbraio del 2004, a spiegare che quei soldi, mai denunciati al fisco del proprio paese, gli erano stati dati da Carlo Bernasconi (defunto) per conto del cavaliere. Mills, l’ideatore negli anni ottanta della tesoreria offshore del gruppo Berlusconi per esportare capitali all’estero senza farli tassare, in cambio dei soldi aveva fornito dichiarazioni reticenti o false ai magistrati che lo interrogavano in due processi che vedevano imputato il presidente del consiglio, nel 1997 e nel 1998.

Il caso emerse per via di una lettera, anche quella del febbraio del 2004, consegnata da Mills al fiscalista inglese Bob Drennan. Nella missiva l’avvocato spiegava che le persone vicine a Berlusconi sapevano bene che se avesse testimoniato correttamente, senza bugie e reticenze, avrebbe gettato il cavaliere in guai molto molto seri. Mills si rivolse al fiscalista perché spaventato dall’incerto trattamento fiscale inglese sui 600.000 dollari ricevuti, tassabili se dichiarati come compenso professionale, esentasse se fatti passare come donazione o regalo.
E sullo sfondo la giustizia italiana che voleva vederci chiaro.
L’avvocato inglese ritrattò il contenuto della lettera, ma ad inchiodarlo ci pensò la rogatoria internazionale in cui il fiscalista Bob Drennan non solo confermava il contenuto della missiva, ma spiegava: «Mills mi aveva ribadito anche a voce gli stessi concetti. L’avvocato prese questa lettera dalla sua valigetta, la firmò, la mise in una busta, la chiuse e me la diede. Era agitato, crucciato, mi espresse la preoccupazione che se questa cosa fosse poi diventata pubblica, il fatto dei soldi dal gruppo Berlusconi e persone collegate, avrebbe avuto un impatto sulla carriera ministeriale di sua moglie. Poi temeva che le autorità italiane forse potevano avere interpretato male la cosa...e che 600mila dollari erano stati dati da Berlusconi, aveva paura che ci fosse un collegamento tra questi soldi e la deposizione in Tribunale». Per questo motivo, sentendo puzza di bruciato, il fiscalista denunciò tutto all’antiriciclaggio inglese, aumentando i problemi di Mills. E quelli del presidente del consiglio, che senza legge vergogna tra poche settimane potrebbe trovarsi con una bella condanna a sei anni per corruzione. A bloccare tutto, per il momento, ci sono le infinite malattie del banchiere italoelvetico Paolo Del Bue, ultimo testimone (per la difesa) nel processo. In un primo momento Del Bue poteva essere interrogato soltanto in Svizzera, poi quando il tribunale ha previsto una trasferta a Lugano, Del Bue ha detto di trovarsi in Brasile, dove rimarrà a tempo indeterminato per dolori toracici che gli impediscono di volare.