Sei anni di carcere per 600.000 dollari di “ricompensa”. Ecco lo spettro che agita le notti di Silvio Berlusconi, tanto da indurlo a sfornare l’ennesima legge ad personam per evitare una pena pesante in primo grado.Era stato lo stesso legale inglese (marito di un ministro dei governi Blair), nel febbraio del 2004, a spiegare che quei soldi, mai denunciati al fisco del proprio paese, gli erano stati dati da Carlo Bernasconi (defunto) per conto del cavaliere. Mills, l’ideatore negli anni ottanta della tesoreria offshore del gruppo Berlusconi per esportare capitali all’estero senza farli tassare, in cambio dei soldi aveva fornito dichiarazioni reticenti o false ai magistrati che lo interrogavano in due processi che vedevano imputato il presidente del consiglio, nel 1997 e nel 1998.
Il caso emerse per via di una lettera, anche quella del febbraio del 2004, consegnata da Mills al fiscalista inglese Bob Drennan. Nella missiva l’avvocato spiegava che le persone vicine a Berlusconi sapevano bene che se avesse testimoniato correttamente, senza bugie e reticenze, avrebbe gettato il cavaliere in guai molto molto seri. Mills si rivolse al fiscalista perché spaventato dall’incerto trattamento fiscale inglese sui 600.000 dollari ricevuti, tassabili se dichiarati come compenso professionale, esentasse se fatti passare come donazione o regalo.
Il caso emerse per via di una lettera, anche quella del febbraio del 2004, consegnata da Mills al fiscalista inglese Bob Drennan. Nella missiva l’avvocato spiegava che le persone vicine a Berlusconi sapevano bene che se avesse testimoniato correttamente, senza bugie e reticenze, avrebbe gettato il cavaliere in guai molto molto seri. Mills si rivolse al fiscalista perché spaventato dall’incerto trattamento fiscale inglese sui 600.000 dollari ricevuti, tassabili se dichiarati come compenso professionale, esentasse se fatti passare come donazione o regalo.
E sullo sfondo la giustizia italiana che voleva vederci chiaro.
L’avvocato inglese ritrattò il contenuto della lettera, ma ad inchiodarlo ci pensò la rogatoria internazionale in cui il fiscalista Bob Drennan non solo confermava il contenuto della missiva, ma spiegava: «Mills mi aveva ribadito anche a voce gli stessi concetti. L’avvocato prese questa lettera dalla sua valigetta, la firmò, la mise in una busta, la chiuse e me la diede. Era agitato, crucciato, mi espresse la preoccupazione che se questa cosa fosse poi diventata pubblica, il fatto dei soldi dal gruppo Berlusconi e persone collegate, avrebbe avuto un impatto sulla carriera ministeriale di sua moglie. Poi temeva che le autorità italiane forse potevano avere interpretato male la cosa...e che 600mila dollari erano stati dati da Berlusconi, aveva paura che ci fosse un collegamento tra questi soldi e la deposizione in Tribunale». Per questo motivo, sentendo puzza di bruciato, il fiscalista denunciò tutto all’antiriciclaggio inglese, aumentando i problemi di Mills. E quelli del presidente del consiglio, che senza legge vergogna tra poche settimane potrebbe trovarsi con una bella condanna a sei anni per corruzione. A bloccare tutto, per il momento, ci sono le infinite malattie del banchiere italoelvetico Paolo Del Bue, ultimo testimone (per la difesa) nel processo. In un primo momento Del Bue poteva essere interrogato soltanto in Svizzera, poi quando il tribunale ha previsto una trasferta a Lugano, Del Bue ha detto di trovarsi in Brasile, dove rimarrà a tempo indeterminato per dolori toracici che gli impediscono di volare.
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