Giuseppe Vittori per “l’Unità”
Un record Angelino Alfano l'ha già battuto: con i suoi 38 anni sarà il più giovane ministro della Giustizia nella storia della Repubblica. Aldo Moro aveva appena un anno più di lui quando, nel 1955, varcò il portone del dicastero di Via Arenula, che oggi sarebbe funestato dalla maledizione che travolse Mastella. Classe 1970, agrigentino, sposato e con due figli, Alfano è uno degli esponenti della “generazione azzurra” di Forza Italia. La passione politica lo contagia da ragazzino, quando frequentava il consiglio comunale di Agrigento dove il padre, Angelo, vicesindaco, è tra i notabili della locale corrente dc di Calogero Mannino. Sposato e padre di due figli, professionalmente è avvocato, politicamente ha iniziato nella Dc, poi nel ‘94 ha aderito a Forza Italia: «Mi sono unilateralmente innamorato di Silvio Berlusconi guardandolo da un tubo catodico», dice. A 25 anni, dopo la laurea in giurisprudenza alla Cattolica di Milano, è stato eletto deputato regionale in Sicilia, non prima di aver fatto il consigliere comunale: così giovane che il suo primo giorno da consigliere regionale i commessi di Palazzo dei Normanni gli chiedono i documenti, increduli che sia un eletto. Era il ‘96, da qui la sua strada politica è tutta in discesa. Una legislatura da peone a palazzo dei Normanni, ma al secondo mandato era già capogruppo. Poi il salto a Montecitorio, nel 2001. I suoi detrattori gli imputano l'aver fatto parte di una certa cordata di giovani rampanti che in Forza Italia cercarono di scardinare la vecchia nomenclatura, ma Berlusconi ha sempre avuto per il giovane siciliano un occhio di riguardo. Scrive molto bene, dicono. Subito tra i collaboratori stretti del Cavaliere, ha un suo ufficio in via del Plebiscito e nel 2003 fa il relatore alla Finanziaria.
Nel 2002 è responsabile delle politiche per il Mezzogiorno di Fi, nel 2005 è coordinatore degli azzurri nell’isola al posto di Gianfranco Miccichè. Dalla sua ha una apparizione in tv che gli fa acquisire punti agli occhi del Cavaliere: in collegamento dal quartiere Brancaccio di Palermo scandisce con nettezza «la mafia mi fa schifo». E aggiunge: «Io appartengo a una generazione di ragazzi che andava alle elementari quando hanno ucciso Mattarella, alle medie quando hanno ammazzato Dalla Chiesa, all'Università quando sono saltati in aria Falcone e Borsellino. Noi abbiamo il marchio a fuoco dell'antimafia».
Troppo bello per essere vero
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