giovedì 15 maggio 2008

Marco Travaglio risponde a Repubblica

Interessante dibattito sul giornalismo. Marco Travaglio non mi è simpatico e quando ho letto un suo libro non sono riuscito a finirlo per la noia, ma preferisco un Travaglio in più che un'informazione di regime: quello che ha imbastito Repubblica (vedi il mio post di ieri) è veramente vergognoso! In merito riporto la risposta del giornalista alle subdole accuse del quotidiano di De Benedetti:


Caro direttore,

D'Avanzo è liberissimo di ritenere che i cittadini non debbano sapere chi è il presidente del Senato. Io invece penso che debbano sapere tutto, che sia nostro dovere informarli del fatto che stava in società con due personaggi poi condannati per mafia, che si occupava di urbanistica come consulente del comune di Villabate, controllato dal clan Mandalà, anche dopo l'arresto del figlio del boss e subito prima dello scioglimento per mafia.
Perciò l'ho scritto (dopo valorosi colleghi come Lillo, Abbate e Gomez) e l'ho detto in tv presentando il mio libro. Anche perché la Procura di Palermo sta ancora vagliando le dichiarazioni rese nel 2007 dal pentito Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate e uomo del clan Mandalà, sul piano regolatore che, a suo dire, il boss aveva "concordato con La Loggia e Schifani" (Ansa, 10 febbraio 2007).
Ciò che non è consentito a nessuno, nemmeno a D'Avanzo, è imbastire una ripugnante equazione tra le frequentazioni palermitane del palermitano Schifani e una calunnia ai miei danni che - scopro ora - sarebbe stata diffusa via telefono da un misterioso avvocato: e cioè che l'imprenditore Michele Aiello, poi condannato per mafia in primo grado, mi avrebbe pagato un albergo o un residence nei dintorni di Trabia. La circostanza è totalmente falsa e chi l'ha detta e diffusa ne risponderà in tribunale.
Potrei dunque liquidare la cosa con un sorriso e un'alzata di spalle, limitandomi a una denuncia per diffamazione e rinviando le spiegazioni a quando diventerò presidente del Senato. Ma siccome non ho nulla da nascondere e D'Avanzo sta cercando - con miseri risultati - di minare la fiducia dei lettori nella mia onorabilità personale e nella mia correttezza professionale, eccomi qui pronto a denudarmi.
Se questo maestro di giornalismo avesse svolto una minima verifica prima di scrivere quelle infamie, magari rivolgendosi all'albergo o dandomi un colpo di telefono, avrebbe scoperto che: 1) non ho mai incontrato, visto, sentito, inteso nominare questo Aiello fino al giorno in cui fu arrestato (e comunque, non essendo io siciliano, il suo nome non mi avrebbe detto nulla); 2) ho sempre pagato le mie vacanze fino all'ultimo centesimo (con carta di credito, D'Avanzo può controllare); c) ho conosciuto il maresciallo Giuseppe Ciuro a Palermo quando lavorava alla polizia giudiziaria antimafia (aveva pure collaborato con Falcone). Mi segnalò un hotel di amici suoi a Trabia e un residence ad Altavilla dove anche lui affittava un villino.
Il primo anno trascorsi due settimane nell'albergo con la mia famiglia, e al momento di pagare il conto mi accorsi che la cifra era il doppio della tariffa pattuita: pagai comunque quella somma per me esorbitante e chiesi notizie a Ciuro, il quale mi spiegò che c'era stato un equivoco e che sarebbe stato presto sistemato (cosa che poi non avvenne). L'anno seguente affittai per una settimana un bungalow ad Altavilla, pagando ovviamente la pigione al proprietario. Ma i precedenti affittuari si eran portati via tutto, così i vicini, compresa la signora Ciuro, ci prestarono un paio di cuscini, stoviglie, pentole e una caffettiera. Di qui la telefonata in cui parlo a Ciuro di "cuscini". Ecco tutto.
Che c'entri tutto questo con le amicizie mafiose di Schifani, francamente mi sfugge. Qualcuno può seriamente pensare che, come insinua D'Avanzo, quella vacanza fantozziana potrebbe rendermi anche solo teoricamente ricattabile da parte della mafia o addirittura protagonista di "una consapevole amicizia mafiosa"? Diversamente da Schifani, non solo sono un privato cittadino. Non solo non sono mai stato socio né consulente di personaggi e di comuni poi risultati mafiosi. Ma non ho mai visto né conosciuto mafiosi, né prima né dopo la loro condanna. Chiaro? Se poi questo è il prezzo che si deve pagare, in Italia, per raccontare la verità sul presidente del Senato, sono felice di averlo pagato.
Ps. Su una sola cosa D'Avanzo ha ragione. Tra i miei ex direttori, ho dimenticato quello del "Borghese": Daniele Vimercati. Era uno splendido e libero giornalista. Purtroppo non c'è più, l'ha portato via a 43 anni una leucemia fulminante. Mi manca molto.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Con una formula che mi pare assai ben riuscita, Giuseppe D’Avanzo su “Repubblica” descrive chi oggi non ci sta e si lamenta di fronte allo stato delle cose: sono le “agenzie del risentimento”. Usa questa formula anche per parlare di Travaglio e del suo modo di fare giornalismo. Qualcuno potrebbe intravedere terminologicamente Freud sulla pelle di entrambi, della volpe e del cane. Ma questo naturalmente è secondario. Invece non mi dispiacerebbe affatto che D’Avanzo o qualcuno sottile come lui si occupasse anche del “risentimento delle agenzie”. Ma sì: se di fronte a dialoghi, inciuci, pacchetti oppure nel caso migliore “orizzonti per la crescita comune del Paese” da parte degli stessi che l’hanno ridotto così, c’è chi reagisce più o meno scompostamente facendo del risentimento il proprio denominatore comune, forse vale anche il discorso opposto. Non ci sarà qualcuno, qualche “agenzia politica” o “informativa” (c’è ancora una differenza tra le due?), che si risente contro tale risentimento e preferirebbe che nessuno disturbasse il manovratore? Per carità, è solo un’ipotesi da indagare e intercettare il meglio possibile…

Anonimo ha detto...

non so se hai assistito ad anno zero ieri sera. Di certo Travaglio non ha fatto una bella figura, Castelli ha dimostrato che c'è modo e modo di dare le notizie e le informazioni.

Andrea ha detto...

non l'ho visto ma un conto criticare un giornalista e un altro è accusarlo di collusione con la mafia senza prove